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Era ottobre dello scorso anno quando nei notiziari è apparso il nome dell’uragano Sandy; è apparso perché si stava dirigendo, potente e distruttivo, verso le coste di New York. Come non ricordarsi delle immagini delle strade di Long Island invase dall’acqua o di una New York deserta e in trepidante attesa mentre le acque del fiume Hudson lambivano i moli, le grandi gru crollavano spezzate dal vento e i trasformatori, come fuochi artificiali, esplodevano in lampi azzurri.
Prima di dirigersi verso le coste nord americane Sandy aveva attraversato Haiti spazzandola con tutta la sua forza distruttrice ma questo, se si esclude qualche “lancio” delle agenzie di stampa francesi, è passato totalmente inosservato.
Haiti si era appena lasciato alle spalle l’uragano Isaac che lo aveva colpito duramente il 25 e 26 agosto del 2012 quando il 24 e 25 ottobre Sandy ha attraversato da Sud a Nord il paese devastandolo completamente.
52 morti accertati, 40 dispersi, 28.000 abitazioni distrutte, oltre 120.000 senza tetto non fanno notizia quando ciò accade in uno dei paesi più poveri e disperati del mondo.
Quanto era rimasto della misera agricoltura, dopo la devastazione di agosto, è stato totalmente spazzato via ad ottobre. Solo piante di canna, cacao o banane abbattute e trascinate nel fango.
Le cicatrici sono sotto i miei occhi: le brulle colline che sovrastano il villaggio sono tagliate di netto dalle fiumare che hanno trasportato a valle masse d’acqua e montagne di pietre e detriti; tutti e tre i ponti sulla nazionale che percorro da Fond Parisienne al bivio che mi immette sulla pista che porta al villaggio sono stati spazzati via e tuttora è necessario guadare i fiumi ancora pieni d’acqua, guadarli fino a quando le prossime piogge non interromperanno, ancora una volta, il transito.
Da Ganthier fino a la Croix de Bouquette la strada praticamente non esiste più, ridotta ad una pista di pietre e terra portate dai fiumi su cui si procede lentamente guardando i campi, miseramente coltivati prima dell’uragano che ora sono distese di fango da cui emergono i fusti dei banani strinati dall’acqua.
Quello che ancora di più stringe il cuore e rivedere le tende dei senza tetto. Di nuovo, negli stessi luoghi dove avevamo già costruito i campi nel 2010, dopo il terremoto: il grande campo da calcio, il piazzale dietro al cimitero, i campi vicino al Comune di Ganthier sono ora nuovamente punteggiati dalle tende piazzate dalla Croce Rossa e dalle ONG.
Nuovamente le file di persone davanti ai depositi di acqua, nuovamente le code dietro ai camion che distribuiscono cibo, nuovamente i bambini con gli occhi sgranati che ti tendono la mano e ovunque capanne sventrate e scheletri di case dai muri smozzicati.
In un’area dell’isola dove l’acqua è un bene raro, prezioso e spesso introvabile, dove scavare un pozzo è una impresa titanica, i suoi abitanti sono schiacciati dall’acqua salata del lago che cresce distruggendo campi e case e dai fiumi d’acqua che cadono dal cielo e travolgono tutto in poche ore.
Gennaio 2013
Maurizio Boganelli